“L’Orchestra del Titanic” fa scalo all’Auditorium – anticipazioni posticipate
PREMESSA
Quanto segue rappresenta la parte non pubblicata di “MASTER E REMASTER: DI BENE IN MEGLIO – Filippo Gaetani, Ingegnere del suono e non solo“, articolo pubblicato su AUDIO Review 415 e uscito in concomitanza dell’evento “AUDIOreview LIVE” svolto il 7 dicembre 2019 all’Auditorium e organizzato dalla rivista AudioReview (ed. AudioVideoTeam) e dal distributore Audiogamma. Il testo qui riportato, pur collegato all’articolo, mantiene una propria autonomia di svolgimento per tematiche ampie che richiedono attenzioni diverse.
Orchestra de “L’Orchestra del Titanic“: Accordion, Antonello Salis; Classical Guitar, Filippo Gaetani; Contrabass, Lello Pareti; Drums and Percussion, Walter Paoli; Guitar, Riccardo Onori; Piano, Stefano Bollani; Engineer, Mixed By, Filippo Gaetani)
RIFLESSI E RIFLESSIONI DA E SUL MASTER E REMASTER DE “L’ORCHESTRA DEL TITANIC”
<<La vera orchestra del Titanic suonava e i passeggeri abbandonavano la nave. Suoniamo noi e il pubblico per lo più resta fino alla fine del concerto. Troviamo che questo faccia differenza e siamo già contenti così, Grazie>> è quanto la Band scrive con seria autoironia nel 1999 sulla quarta di copertina del libretto interno al CD “L’Orchestra del Titanic”, autoironia seria che caratterizza tutto questo lavoro. Durante il suddetto evento “AUDIOreview LIVE” Stefano Bollani e Filippo Gaetani hanno parlato con la stessa misura del loro album, del relativo remaster per il ventennale, e di tanti altri argomenti interlacciati al master e remaster de “L’Orchestra del Titanic”, lavoro ricco di contenuti e tematiche che Gaetani e Bollani hanno affrontato in modo specifico e trasversale, indagando le interazioni tra tecnica e arte, tra emozione e linguaggio, tra musica e ingegneria.
Di seguito le considerazioni precedenti l’evento all’Auditorium.
MASTER – REMASTER – REMIXING
Le tipologie di registrazione sono molteplici, sintetizzando potremmo racchiuderle in due macro gruppi, “ambientale” e “strumentale”, suddivise tra quelle contenenti maggiormente l’apporto del campo lontano (riverbero) in cui è stata effettuata la ripresa, e quelle con la ripresa più prossima agli strumenti, prevalentemente in campo vicino (diretto), a diminuire l’apporto ambientale. La differenza si traduce percettivamente in maggiore sensazione d’insieme nel primo caso, e maggiore sensazione di dettaglio nel secondo. Erroneamente si ritiene che la maggiore tridimensionalità sia riferibile esclusivamente alla condizione “ambientale” quando invece può essere comune ad entrambe le condizioni e legata alla ricostruzione operata in sede di mix ed esaltata anche dall’ambiente in cui si ascolta la riproduzione. Fattore quest’ultimo troppo spesso trascurato che costituisce il “componente” più pesante nel determinare la qualità d’ascolto e sul quale è più complesso agire (spesso per complessità logistiche) a differenza dell’acquisto di un cavo “speciale”. All’interno di questi due scenari d’ascolto si inseriscono altri due fronti, analogico e digitale, con quest’ultimo che da alcuni anni promuove opportunità nuove, sempre più raffinate, non necessariamente migliori dell’analogico ma sicuramente diverse (su tutte la “dinamica”) e operativamente superiori (su tutte la “selettività d’intervento”). In assoluto i due fronti rappresentano due facce della stessa medaglia, e due facce non si incontrano se non al confine, e quel confine è rappresentato dalle possibilità che offre il digitale in termini di “ri-lavorazione” del segnale analogico, e questo vale tanto in sede di acquisizione “nuova” che in sede di segnali già acquisiti, d’epoca, per arrivare agli interventi di remastering o, quando disponibili le singole tracce, di remixing.
Questi interventi postumi, a volte in ambito di “restauro”, sono spesso discussi in termini filologici, ma è evidente che la questione sia speciosa in quanto la filologia non è persa esistendo la possibilità di riascoltare la versione originale, cosa che non accade in altri ambiti, quali ad esempio quello pittorico, dove il restauro profondo fa perdere per sempre l’originale.
Inizialmente il CD, inteso come supporto digitale e che il prossimo anno compirà 40 anni, non suonava bene, in gergo “induriva”. Si ritenne dipendesse dalle sorgenti, dai condensatori, dall’unità di conversione DA, dal singolo bit, dal campionamento, poi, con gli anni, ci si rese conto che i CD continuavano a suonare “duri” anche con le catene di riproduzione più avanzate e innovative che aiutavano ma non risolvevano; si capì allora che la questione era altrove, ovvero alla radice. I criteri di registrazione tipici dell’ambito analogico non potevano essere trasferiti tout court sul digitale; la “compressione”, legata al range dinamico, manteneva tutta la sua caratteristica appiattente e stridente non essendo più compensata da apporti terzi (quali quelli del gruppo testina-piatto) capaci di reintrodurre “meccanicamente” una certa dinamica. Le prime registrazioni/riversamenti finalizzate al CD furono poco convincenti perché mutuanti l’esperienza analogica, solo agli inizi dei primi anni 2000 con l’avvento di una nuova generazione di ingegneri del suono si cominciò a capire che il digitale offriva opportunità diverse dall’analogico, valorizzanti dinamica e selettività, e cominciarono così ad arrivare CD ben suonanti, ovvero esprimenti caratteristiche proprie. La condizione ormai è stabile e negli ultimi dieci anni è difficile trovare CD mal suonanti (escluso l’ambito prettamente commerciale). L’Orchestra del Titanic rappresenta una delle prime registrazioni realmente calibrate in direzione delle opportunità digitali (anche da base analogica) ponendosi tra i capostipiti del cambio di passo della registrazione finalizzata alla lettura digitale, anche in ambito “test”.
MUSICA E BRANI “TEST”
Nella scelta dei brani test è importante non scindere la qualità tecnica da quella musicale, ossia il test di un sistema di diffusione musicale non può avvenire attraverso un significante “elettrico/sonoro” debole artisticamente in quanto verrebbe a mancare la possibilità di mettere in connessione “dato tecnico e comunicativo” per valutare la credibilità del segnale riprodotto. In altri termini nell’ambito della riproduzione ciò che è credibile è convincente, e per essere credibile deve essere comparabile, riferibile. A questo, prendendomi una piccola licenza, aggiungo una considerazione a cui tengo molto. Sono pochi i musicisti italiani che sanno far suonare in modo fluido e internazionale le proprie band, tra questi ci sono Stefano Bollani e Daniele Sepe che, peraltro, si sono incontrati nello splendido “Napoli Trip”. La loro produzione musicale, intensa e variegata, somma, in un’unica soluzione, “arte e tecnica” che unitamente a registrazioni di qualità porta le loro opere ad assumere anche valore test HIFI.
Vediamo cosa si intende per correlazione tra tecnica e percezione, tra arte e comunicazione. Se ci mettiamo nei panni di coloro che sono “linguisticamente” più preparati, ingegneri del suono, compositori di musiche da film, critici musicali classici (si pensi al programma “lezioni di musica” di Rai Radio 3, alle “lezioni di Bernstein” del 1973, o al programma “Sostiene Bollani”), pubblicisti audio/video (professione che li racchiude tutti), ci accorgiamo che tutto è molto più oggettivo di quanto non si creda. Non totalmente oggettivo, ma più di quanto non sembri nell’immaginario collettivo. La totale soggettività è un’idea del mondo “audiofilo” che sovrappone la soggettività del gusto personale all’oggettività della “linguistica”. Sia chiaro, non si sta parlando di “arte” ma di linguaggio, in questo caso musicale, quindi di effetti, di suoni, di note, ecc… tutti scientemente utilizzati per raggiungere un certo scopo. Suoni, immagini, distorsioni, echi, armonie, tridimensionalità, ecc… scelti in modo mirato per stimolare i sensi. Prendiamo ad esempio la caratteristica di “bassa qualità” che si ritiene sia facilmente identificabile e univocamente ritenuta negativa. Ebbene tale caratteristica (che in ambito audio si può associare ad esempio all’effetto della compressione) può divenire, come nel brano “Outside” di Bowie (da “Outside.1”), un elemento comunicativo scelto in modo artisticamente consapevole. Ciò che appare come bassa qualità può essere funzionale ad un dato impatto sonoro che si vuole raggiungere, saturo appunto, al limite del “fastidio” per sbordamento (analogamente alla “tensione superficiale” dell’acqua che si comporta come una membrana “gonfiandosi” oltre il bordo del contenitore che, entro un certo limite, la contiene senza travalicarlo). E’ una condizione linguisticamente rara ma possibile. Il discriminante è sempre il linguaggio, quindi “la narrazione con le sue finalità”. Questa è la chiave della comunicazione, non un’altra. La questione è sempre tra significato e significante, e la tecnica né è parte caratterizzante ed esplicitante, è linguaggio. Dove c’è incongruenza tecnica c’è anche incongruenza linguistica, quindi comunicativa, e viceversa. E il processo artistico ne è il derivato (unitamente ad altre complessità).
L’opera “L’Orchestra del Titanic” esplicita proprio l’oggettività della valenza tecnica quando correlata alla linguistica, ovvero quando significato e significante coincidono. La correlazione tra “tecnica e comunicazione” trova in genere poco spazio narrativo, la Critica le divide e si divide, evitando di relazionarle, spiegarle, avvilita da sterili divisionismi di parte, cercando l’opposizione e non la contiguità. Mondi senza soluzione di continuità che invece di unirsi si dividono per tutelare la relatività dei propri pensieri personali, relatività che non viene intaccata poiché viaggia sul piano del mi piace/non mi piace, ovvero su un piano non “linguistico” e solo sensoriale, negazione in sé del concetto di critica. Il paradosso è che chi della comunicazione fa commercio (praticamente il 99% del distribuito) sa bene come mettere in correlazione tecnica e comunicazione, qualità e speculazione; eppure, nonostante tanta evidenza concreta, monetizzata, continua a risultare difficile pensare ad un uso consapevole della linguistica per il raggiungimento di un dato fine. E’ quello che accade nell’arte, che per definizione intrinseca, ovvero esistenziale, è superamento della linguistica speculativa. L’opera “L’Orchestra del Titanic” è una delle migliori espressioni delle contiguità “linguaggio-comunicazione-arte”, può essere ascoltato come si vuole, per porzioni, per insiemi, per istanti, e come tutte le grandi opere ogni volta rivela aspetti nuovi tanto è denso di stratificazioni.
REMASTER TRA CONSERVAZIONE E ATTUALIZZAZIONE
In sede di mastering si possono fare “danni” anche perché, a causa una serie di usi e costumi, per mastering si intende indirettamente “compressione”, mostro sonoro introdotto anche quando il lavoro di mix è stato svolto al meglio, spesso e tipicamente in ambiti musicali con destinazione “radiofonica/pc” (per limiti sonori dei relativi apparati di riproduzione). Questo concetto mi fu esposto molti anni fa da Sergio Bardotti quando mi disse che gli Lp più “commerciali” venivano compressi in sede di mastering per l’ascolto in radio o tramite impianti di scarsa qualità la cui poca dinamica sarebbe stata un “disvalore” da compensare. All’epoca gli ingegneri del suono assecondavano i produttori discografici che puntavano sulla massima diffusione, motivo per cui Lucio Dalla, come lui stesso raccontò, sin dai primi anni ’90, cominciò a fornire con il suo studio di registrazione materiale direttamente già mixato pronto per essere masterizzato. Quindi, mastering=compressione divenne una equivalenza “il-logica” introdotta più dalla pratica che dalla teoria, pratica che ha portato per estensione all’ulteriore idea distorta dell’inutilità del mastering o del remastering. Da questa deriva, contrastata oggi anche da Steve Wilson (AR 363 “Steven Wilson, Molto oltre il progressive”), si arriva alla loudness war.
IL DIGITALE
La tecnologia digitale, attraverso remaster e remix, ha agevolato confronto e pesatura esperienziale aumentando la consapevolezza dell’incidenza della cattiva o della buona registrazione. Due lavori su tutti, i remix dei Genesis e dei Beatles. Sebbene, va detto, la loudness war non va confusa con un uso funzionale, quindi utile, della compressione che in alcuni rari casi può far parte integrante dell’evento musicale come nel sopra accennato “1. Outside” di David Bowie (fig. 1) dove, in particolare sul brano “Outside”, tra strumenti (8-10), voci (5) ed effetti addizionali (Brian Eno), la relazione tra segnali, dinamica e livello raggiunge densità tali da rendere la compressione un “effetto” aggiuntivo da attivare al limite della “saturazione”, collante di una massa sonora che avanza densa senza lasciare lo spazio di uno “spillo” tra strumenti, suoni e voci che occupano tutte le frequenze senza soluzione di continuità. Ne consegue una compressione con finalità musicali, quindi linguistiche, per un “impatto” sonoro che in questo caso deve appunto essere percettivamente “massivo” e “ottundente”.
IL RISCONTRO PERCETTIVO DE “L’ORCHESTRA DEL TITANIC”
Al riscontro strumentale è seguito quello percettivo. Il brano “La Sagra Di Paolòpoli” del 2019 rispetto al master del 1999 presenta una sonorità più “fuori dalle casse”, meno “inscatolata”, a vantaggio dell’intelligibilità, ottenuta con un complessivo incremento delle alte e medio-alte frequenze rispetto ad un intervento sulle medie e medio-basse più contenuto e dall’incremento delle basse che per contrasto incrementano ulteriormente la percezione delle alte (effetto legato alle curve isofoniche per la correlazione tra frequenza e livello, e all’effetto di precedenza per la correlazione tra componente temporale e livello). Si esalta la componente in campo vicino e meno quella lontana, più ambientale. Differenze piccole che non snaturano il riferimento. L’ambienza del campo di registrazione viene sostituita da quella del campo di ascolto, come se i musicisti fossero nella stanza di ascolto e non in quella di registrazione. Da qui appunto i due estremi di riproduzione dell’evento musicale, più ambientale il 1999 e più strumentale il 2019 con più basse e più alti, contrabbasso più presente e pianoforte più fuori. Sul remaster de “La Sagra Di Paolòpoli” si avverte un leggero alleggerimento per minore corposità della ritmica, anche sul pianoforte, dovuto all’innalzamento delle alte frequenze. Di questo incremento delle alte si avvantaggia la chitarra la cui struttura armonica è più flessibile e meno riferibile di quella del pianoforte stagliandosi su quest’ultimo più per differenza “timbrica” che non per incremento di livello in sé, che è l’interpretazione diversa e ugualmente convincente del 2019, mentre nel master del 1999 negli “unisono” la chitarra si fonde quasi a “nascondersi” dietro al pianoforte.
Il risultato ottenuto è sorprendente in relazione ai limiti operativi offerti dal remastering. A dimostrazione che anche un piccolo e calibrato intervento tecnico può produrre effetti linguisticamente importanti. Rimane il gusto personale che lecitamente può preferire l’ascolto più ambientale o più strumentale, eterno dilemma dettato in gran parte dalle condizioni ambientali di ascolto e dalla tipologia dell’impianto utilizzato.
Marco Valerio Masci
Immagine di testa – Auditorium di Roma, sala “Studio 3” (da Sx: Fabrizio Montanucci, Marco Valerio Masci, Filippo Gaetani, Mario Richard, Stefano Bollani); by AUDIO Review, foto di Mario Mollo
Curriculum Vitae Filippo Gaetani [composer, record producer, engineer and musician]:
Gianluca Mosole – “Tepore” (1987), “Magazine” (1991); Barbara Casini – “Todo O Amor” (1995); Enrico Rava, Stefano Bollani – “Rava Plays Rava” (1999); Stefano Bollani – “L’Orchestra Del Titanic” (1999), “Abbassa la Tua Radio” (2001), “Il Cielo Da Quaggiù” (2001); If Six Was Nine – “Andante Allegro Con Testo A Fronte” (1998); Malina (Michela Lombardi – 1999) – “Gently Hard”; Q-bizm – “Vivid” (2004), “Funkraum” (2019); Andy Bell – ”Electric Blue” (2005); Katja Werker – “Leave That Thing Behind”(2006); Phil Mccammon – “All Over Me” (2007); My Excellence – “For God’s Sake” (2008); Adrina Thorpe – “Halflight And Shadows”(2009); Peter Doran – “Sleepless Street” (2010), “Overhead The Stars”(2012); Martin Klein – “Everything” (2015), “The Sun” (2016), “Lost Songs” (2018); SheLoom – “Seat Of The Empire” (2010), “The Baron Of The Fjord” (2016); Russell Morgan – “Surrender” (2011),“Hungover Dream” (2014), “Begin Simple” (2016); Ballistic, fut. Xiren – “Stay Away”, “Dreams” (2019); Jessie Grace – “King Of Villains Part 2” (2011); Maddes – “Fielded”(2014), “Tools of No Use” (2017); Opollo – “Of A Distorted Star” (2017), “Secret Towers” (2018); Blurred City Lights – “Volker” (2018); John Mitic – “Everything” (2018); Don Grusin and Filippo Gaetani – “Populism Dystopia” (2019).