Caste-llo

Caste-llo

Quando i deboli diventano troppi scoprono di essere forti

…dalle ceneri i più illuminati vanno al potere e democraticamente governano. Vengono eletti per anni, siano essi di destra, di centro o di sinistra. Rappresentano il meglio del paese. A nessuno viene in mente di opporsi più di tanto. Poi, nel tempo, quel “meglio” si compiace, si sceglie, si circonda di simili, di omologhi, di “utili”. Progressivamente tutto si regge sempre più sulla prevedibilità dell’elettore. E questa prevedibilità è tale che quel “meglio” si autoelegge nel farsi eleggere. Ogni voto è un mattone, e mattone su mattone nasce il Castello degli eletti. Quelli fuori dal castello si accorgono di essere fuori dal castello e si accorgono che esiste il castello. Si accorgono che dentro il castello fanno la qualunque mentre loro fanno la dovunque, erranti per impossibilità di accentrarsi nel Castello. Dentro al castello l’agio nasconde l’instupidimento per copula parentale e la democrazia diventa eterodiretta. I lussi affascinano spingendo qualche errante a passare davanti la porta del castello. Ma la porta è chiusa, non si apre più. Il lusso aumenta e il Castello lo ostenta. Fuori i contadini sono sempre più lontani e aumentano. I contadini sono sempre più bifolchi e i castellani sempre più bicolti (colti due volte), sempre più agiati, sempre più irrorati dalle autofascinazioni, dalle continue e progressive ottimizzazioni di rendimento dell’esercizio del proprio potere. Sempre più necessitanti di futilità erodono le necessità primarie dei loro sudditi. L’inoutput è autosoddisfarsi sempre più dando sempre meno. Ma il troppo meno fa scoppiare la rivoluzione. L’abilità del castellano è tutta nel mantenimento di quel sottile equilibrio tra soddisfazione e insoddisfazione. Ma il castellano sempre più chiuso in sé stesso finisce per instupidirsi. E’ colto, ha accesso a tutto il meglio, ma a forza di giocare sempre da solo, in casa, alla fine non sa più giocare in trasferta. Si instupidisce in assenza di stimoli esterni, di scambi energetici, di diversità. Non se ne accorge ma fa tutto da solo. Grida al ladro ma il ladro è lui. E nella progressiva ricerca dell’uguaglianza per affinità passa dalla simpatia alla genia. Dalla democrazia alla razzia. Il movente è la stabilità interna, un movente solo interno, un movente che appare sensato solo ai castellani stessi che si arroccano. Che gridano al bifolco che trovando la porta chiusa comincia a muoversi attorno al Castello. E con lui tanti altri, tutti in movimento intorno al Castello. Rozzi, meno edotti, meno agiati, non conoscono il Castello dal di dentro. E, a forza di starne fuori, vogliono entrarci. I castellani gridano ai barbari, i contadini si voltano, si sentono presi nel mezzo. Allora aiutano i castellani preparandosi ad affrontare i barbari. Ma i barbari non arrivano, mai. In quel “mai” i contadini capiscono che i barbari sono loro. In quel “mai” capiscono che i loro eletti sono degli inetti. Come può un eletto farsi eleggere da un barbaro? Evidentemente il primo inetto è l’eletto. E l’elettore, rozzo, affamato, intelligente, non ha qualifica se non quella di essere tutto in uno, espressione di quella diversità morta dentro le mura castellane dell’uguaglianza coatta. L’elettore è tutto, tranne che barbaro. L’elettore si scopre, nella sua piccolezza, di essere persona e tanto basta a scoprire una cosa ancora più sconvolgente, che l’Eletto teme il contagio delle persone. E il contadino scopre di essere persona, rivolta il banco e la verdura diventa “moneta”. Affamano i castellani che costretti ad aprire la porta si rimescolano con i contadini non riconoscendosi più persone, tra le persone. Le persone fanno movimento ed eleggono sé stesse. E dalle ceneri i più illuminati vanno al potere…

‎Marco Valerio Masci

 

Immagine di testa: Marco Valerio Masci, Caste-llo, fotografia digitale (Casio EX-ZR100), 25 ‎aprile ‎2011 – “Abruzzo, Navelli (AQ), il Palazzo Baronale “Santucci” (XVI sec.)”

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