Inefficienza

Inefficienza

INEFFICIENZA

Sarebbe stato più consono scrivere una lettera tecnica, una relazione divulgativa, ma non avrei potuto affrontare la portata della tematica che mi prefiggo di trattare. Avrei prodotto una relazione chiusa dentro stilemi e criteri scientifici, tesi, postulati e dimostrazioni, necessariamente circoscritti e specifici, ma non sarei riuscito nell’intento di mettere in evidenza una problematica la cui radice è prima di carattere generale e poi particolare. Le questioni generali difficilmente vengono trattate in ambito scientifico poiché costituiscono il riferimento, l’humus, il mondo, entro il quale indagare specificità e criticità. Il mondo è perfetto. Sono le sue componenti a richiedere indagini e analisi. Ma di dettaglio in dettaglio si perde di vista la base, il generale, che, se imperfetto, erroneo, condiziona tutti i dettagli di cui è composto. Il generale sarebbe di appannaggio popolare, giornalistico, ma, a volte, la sua radice tecnica lo rende troppo complesso per essere gestito giornalisticamente e troppo generico per essere trattato scientificamente. Entrambe posizioni corrette. Ma a volte, ed è il nostro caso, la questione generale diventa anche particolare. E deve essere trattata come tale per poi dettagliarla e specializzarla, lavoro quest’ultimo che non trova spazio qui e che si spera possa essere conseguente a questa mia riflessione che si rivolge a tecnici e non, in altri termini a tutti, utilizzando la polemica sulle Olimpiadi come cavallo di Troia per entrare nel merito di quella che definirei “LA questione edilizia”.

Premessa

Deve essere molto difficile comprendere la questione “Olimpiadi” per chi non è con le mani in pasta nel mondo dell’edilizia, delle infrastrutture e della comunicazione. Tento quindi l’impresa con l’idea di dire qualcosa “fuori dal coro” visto che quanto ho letto di specializzato e divulgativo non centra mai la questione. Da un lato il mondo non specializzato non ha gli strumenti per capire, dall’altro quello specializzato ha tutto l’interesse per speculare sull’ignoranza, altrimenti non si spiega perché si giri tanto intorno al punto cruciale. Punto eluso da sempre, non solo ora per le Olimpiadi, che hanno però avuto la forza di mettere in evidenza, come mai era successo, tutta l’inefficienza edilizia e infrastrutturale in cui il nostro paese versa in modo sempre più critico almeno dagli anni ’60. Procedo quindi nel tentativo di mettere sul piatto elementi che evidentemente non sono così facili da reperire perché scomodi al “sistema”, di difficile deduzione per gli esterni al mondo dell’edilizia, delle infrastrutture e della comunicazione, ma, allo stesso tempo, elementi ben noti a tutti i professionisti del settore, con la distinzione tra professionisti di base e di vertice dove quest’ultimi non hanno alcun interesse a modificare lo stato di cose che evidentemente è a vantaggio di pochi e non della base. Il sistema edilizio italiano è un sistema personalizzabile e questo lo rende un sistema a vantaggio di pochi. L’Ordine degli Architetti notoriamente guarda al vertice e non alla base. È arrivato il momento che si occupi della base, se non vuole che l’edilizia, oltre ad implodere, gli frani anche addosso.

Il motivo per cui le Olimpiadi non s’hanno da fare non è solo legato al malaffare. Anzi questo è assolutamente secondario. Il malaffare non è una specializzazione, si combatte con la specializzazione, e quando questa manca il malaffare si impianta. La questione è quindi diversa. Da un lato è “economica”, ma indirettamente, almeno nel nostro caso, e dall’altro, è direttamente di “legislazione e normativa di base”. Pietro Mennea con il libro “I Costi delle Olimpiadi”, Delta Tre Edizioni[1], 2012, spiegava che gli investimenti per questi eventi sono solo spesa, e zero guadagno (il Comune di Roma da un mese avrebbe finito di pagare il mutuo per i mondiali del ’90, mentre avremmo ancora in sospeso diritti legati agli espropri dei terreni per le Olimpiadi del ‘60).

Per avere un’idea nostrana dei costi possiamo prendere a riferimento la ristrutturazione dello Stadio Olimpico che ci è costata circa 4.380.000 euro/anno per 25 anni esclusi gli interessi bancari del mutuo venticinquennale che abbiamo acceso. Le Olimpiadi in Brasile sarebbero costate tra 11 e 15 miliardi di euro di cui il 70% coperti dalle sponsorizzazioni (ma noi non siamo “acquistabili/vendibili” come il Brasile). Inoltre il Brasile ha sfruttato parte delle strutture provenienti dai Mondiali di Calcio (che comunque andrebbero considerate nella somma totale). Come esempio di spesa sarebbe in effetti più opportuno fare riferimento alla Grecia che ha sfiorato i 20 miliardi di euro e poi è tracollata (“Le Olimpiadi in Grecia del 2004 furono l’inizio del default” di Vittorio Da Rold, Il Sole24 Ore, 2014[2]). Il punto non è quindi il costo pro capite, che può apparire basso (circa 1000 euro pro capite da spalmare in X anni + interessi bancari), ma   che quel costo si somma al deficit già alto che abbiamo, ovvero si somma ad una perdita continua che per ora non diminuisce. Il rischio è di fare la fine della Grecia e non è un caso che gli ultimi grandi eventi siano sempre stati proposti a Nazioni in crisi, sempre con l’idea che avrebbero avuto l’occasione di rialzarsi per poi, invece, entrare in ulteriore difficoltà. D’altronde se non hai risorse già attive che indichino oggettivamente una ripresa è evidente che qualunque spesa che porti vantaggi solo d’immagine non te la puoi permettere. Per gli aspetti economici più ampi si può leggere “Olimpiadi, i numeri (tanti) dicono che è una vittoria da lasciar perdere” di Rosamaria Bitetti, Il Sole24 Ore, settembre 2016[3].

“IMMAGINIADI”

Il vantaggio quindi sarebbe solo in termini di IMMAGINE, ma l’immagine ha un costo e te la devi poter permettere. In altri termini non abbiamo soldi “a perdere” da poter investire sulla sola immagine (non siamo Londra). Aggiungeremmo debito a debito e l’immagine ci costerebbe troppo cara trasformandosi in immagine negativa e non positiva non essendo rappresentativa di lusso ma del vorrei ma non posso. Ma tant’è, la perdita d’immagine sarebbe una appendice ma la conseguente inevitabile crescita del debito ci esporrebbe troppo indebolendo quel poco potere contrattuale che ancora abbiamo in direzione internazionale.

Ma, e qui inizia il secondo punto, in tutto questo nessuno si chiede a cosa servono gli Ordini degli Architetti e degli Ingegneri, a tutela e garanzia di cosa?! A nulla se non ad evitare che si parli di loro e delle loro elusioni di responsabilità. Inoltre dobbiamo uscire dalle camere stagne, ovvero dal trattare le questioni come espressione d’interesse interna ai contesti professionali che le riguardano. Dobbiamo avere un respiro più ampio, a carattere sociale e non particolare. Gli Ordini, ad oggi, sarebbero un ossimoro di questo ideale ma volendo potrebbero rappresentarlo e sarebbe ora di farlo visto che siamo arrivati a toccare il fondo. Che lo si faccia almeno per spirito di sopravvivenza se non ci si riesce per ragioni etiche, morali e deontologiche.

REGOLE DI BASE

In Italia la questione “edile e infrastrutturale” non lascia più spazio a slanci pro-positivi. Sono decenni che si rilancia operativamente ma non cambia mai nulla e tutto tende sempre al peggio. Evidentemente la questione è diversa dalla sola volontà, dalla sola voglia di rilancio, dalla sola capacità e autorevolezza istituzionale e professionale. Ci sono aspetti fondamentali che andrebbero spiegati nel dettaglio e che in questo scritto non possono trovare spazio, aspetti che qui posso esporre solo in modo generico, ma che alcune “parole chiave” renderanno immediatamente comprensibili tanto sono noti alle professionalità diffuse allo stesso tempo di quanto sono ignorate da quelle verticistiche. Le parole chiave che utilizzerò saranno sufficienti almeno a far scattare il dubbio per attivare poi approfondimenti in proprio avviando, attraverso articoli, siti dedicati, tavoli tematici, una base progettuale coordinata qualora questa mia dovesse riuscire a smuovere consenso e ad avere un seguito organizzato che porti in luce in modo quantificato e circostanziato quanto qui dirò. In altri termini, contrariamente alla prassi che vorrebbe un approccio di tipo settoriale per poter dettagliare la tematica d’indagine, qui la generalizzazione diventa una necessità legata ad una problematica che si innesta in modo trasversale proprio in quanto problematica di base e che, pertanto, può essere compresa solo se guardata nella sua interezza e complessità. In questo senso, questo approccio generalizzato è allo stesso tempo specifico. Mentre le soluzioni proposte in altra sede e momento saranno di carattere puntuale e non esteso.

Tutto il malaffare nostrano (nel senso di “fatto male”), che ruota da decenni intorno all’edilizia, e che si massimizza nei grandi eventi (Olimpiadi, Mondiali, Expo, ecc…) e nelle emergenze (terremoti, rifiuti, ecc), non è da ritenere frutto solo di abili malavitosi e/o di speculazioni particolari. Se fosse così il fenomeno sarebbe facilmente arginabile. Questo malaffare è ormai da ritenere fisiologico, e non per via genetica (nonostante cerchino in tutti di modi di farcelo credere, in quanto politicamente il dualismo paga sempre, stupidi e intelligenti, ignoranti e sapienti, nord e sud, buoni e cattivi, onesti e corrotti, è tutto molto cinematografico e non reale, e il dualismo che appare come causa è in realtà un effetto), ma per via STRUTTURALE. Tutte le leggi che ruotano attorno all’edilizia rendono possibile questo malaffare. In altri termini queste leggi agevolano l’occasione fa l’uomo ladro, tanto sono piene di buchi e indefinizioni nei punti cardine e nelle regole/leggi di base, quest’ultime totalmente assenti. Le leggi si diramano ad albero, e la diramazione, retrocedendo di biforcazione in biforcazione, arriva al tronco senza il quale l’albero non esiste. Ed è quello che invece è successo. Le leggi sono state emanate senza che si diramassero dal tronco, piccolo o grande che fosse. Esistono i rami ma l’albero no. Una legge da sola è solo un ramo piantato a forza nel terreno. Quel ramo si diramerà finché la linfa lo sosterrà, cercherà di farsi albero, ma alla lunga morirà. Una legge per essere forte, vitale, deve poter partire dal tronco che evidentemente è ben radicato. Ecco, in edilizia abbiamo migliaia di rami in totale assenza di tronchi. L’edilizia è piena di rami secchi, non è un albero, è un Ikebana, accattivante ma senza alcuna possibilità di continuità vitale. L’edilizia manca di leggi di base. Si continua a forza e compulsivamente a piantare rami nel terreno sperando che radichino, ma questo biolegislativamente non succederà mai. E qui dovrei entrare nel merito tecnico della questione. Mi limito a dire che basta indagare come funziona la legge che regola il “subappalto” (tecnicamente illimitato con artifici specifici, tanto indefiniti sono i confini operativi), oppure constatare la totale assenza di un “abaco” dei termini tecnici unitamente ai protocolli (il che permette la totale interpretazione/manipolazione di qualunque ambito tecnico che da quantitativo diventa qualitativo, vedi ad esempio gli ampi margini di interpretazione della SUL) e si capisce che l’edilizia in Italia non potrà mai seguire iter sani e non arrivando mai alla realizzazione di opere “verificate e garantite”. Questo lo disse Renzo Piano dopo l’esperienza dell’Auditorium, che comunque fu fatto, mentre oggi il sistema è andato talmente a regime che non riusciamo più nemmeno a finire le opere (vedi le Vele), oppure le finiamo con tempi e costi dieci volte superiori (vedi la Nuvola, l’Acquario del laghetto dell’EUR e tante altre). Abbiamo troppe leggi perché siamo in assenza totale di protocolli. Quindi, le mani in pasta in questo mondo mi portano a dire che l’inversione di tendenza sarà possibile solo se ci si ferma per mettere mano a quelle fondamentali “regole di base” la cui assenza rende possibile lo sfacelo a cui assistiamo da decenni e che non solo non è mai diminuito ma è ovviamente aumentato. Un ramo secco non sta in piedi da solo. Gli aspetti tecnici irrisolti sono tutti dovuti alla mancanza di tali “regole di base”.

Di seguito un elenco minimo di alcune mancanze di base:

  1. ARCHIVIO PROCEDURE AUTORIZZATIVE
    • E’ di fondamentale importanza che tutta la documentazione tecnica in formato elettronico relativa alle procedure autorizzative (CIL, CILA, SCIA, DIA, PaC, CiS, ecc.) sia inserita in un database consultabile dai Tecnici in modo che le nuove autorizzazioni si possano basare e ripartire dalla documentazione già depositata presso gli uffici competenti e da questi verificata e approvata. E’ assolutamente irrazionale che ad oggi per ogni procedura ogni Tecnico debba ripartire da zero senza poter usufruire in modo sistematico del lavoro precedentemente svolto da colleghi e già in possesso della pubblica amministrazione. Questo permetterebbe di creare una base documentale completa e organica capace anche descrivere in modo esteso lo stato del patrimonio edilizio nazionale. Tale procedura porta automaticamente allo stato complessivo dei fabbricati avvicinandola al fine del Fascicolo del Fabbricato con esclusione dell’accertamento statico che è stato l’ovvio motivo del fallimento di quest’ultimo;
    • Estensione del tempo di archiviazione amministrativa (analogica/digitale) da parte degli Enti autorizzativi associato non ad un tempo finito (attualmente 10 anni) ma alla durata di vita del fabbricato;
    • Le documentazioni autorizzative devono essere archiviate in doppia copia, una presso o afferente all’Ente di rilascio e l’altra presso un organo terzo di raccolta documentale;
    • L’iter autorizzativo basato su “protocolli” è un iter verificato a priori che permette il ribaltamento del nulla osta che può essere rilasciato subito, contestualmente alla domanda, a seguito di autocertificazione a cui allegare entro un dato termine tutte le certificazioni necessarie. Questa condizione rimuoverebbe alla base anche molte azioni di ricorso amministrativo che oggi vivono sulle aleatorietà e sulle soggettività delle norme affette dall’assenza delle regolamentazioni di base;
  2. CORRELAZIONE ARCHIVIO GENIO CIVILE CON ARCHIVIO PROCEDURE AUTORIZZATIVE

Il punto 1 messo a sistema con i dati del Genio Civile permetterà un controllo correlato e coordinato delle modifiche strutturali apportate ai singoli appartamenti in modo da verificare la continuità strutturale dei fabbricati.

  1. PROTOCOLLI

E’ necessario avviare un processo di redazione di Protocolli relativi ai vari settori edili e infrastrutturali, protocolli che regolino i macro ambiti “operativi” e “autorizzativi” dettagliandosi nelle varie specificità e tipicità di ognuno. L’assenza di Protocolli non permette ora di garantire perfomance e risultati attesi, con notevoli limitazioni in direzione delle garanzie normative e assicurative (da intendere nel senso più ampio del termine). L’istituzione di protocolli rappresenterebbe la vera garanzia per l’autonomia professionale del Tecnico la cui responsabilità è assimilata a Pubblico Ufficiale ma che, ad oggi, è una responsabilità subordinata e non diretta in quanto dipendente dagli Enti autorizzativi che non potendo disporre di una linea univoca, ovvero di protocolli, devono necessariamente proporsi come consiglieri impositivi, il tutto a carico del tecnico che è firmatario e unico responsabile. Non è accettabile doversi fidare di un “parere non ufficializzato” che, per quanto competente, risulta sempre, a fronte di eterogeneità legislative mancanti di regole di base, espressioni di “legislativa personalizzata”. Sono necessari quindi protocolli a cui le parti possano aderire in piena autoresponsabilizzazione.

  1. INAPPLICABILITA’ DEL CONFLITTO D’INTERESSI

Nel mondo edile il conflitto d’interessi tra impresa e DL è una prassi che non può essere controllata in termini burocratici e/o procedurali. In realtà si tratta di un falso problema che vive solo come “alibi deontologico”, utile solo come paravento ideologico all’assenza di regole di base che invece garantirebbero un risultato verificato al di là delle relazioni tra le parti.

  1. REVISIONE DEI REGOLAMENTI EDILIZI

Rimozione dei vincoli edili di carattere distributivo, funzionale e igienico-sanitario ormai irrazionali e anacronistici a fronte di modi di vita totalmente mutati in relazione all’evoluzione delle tecnologie rispetto all’epoca in cui sono stati pensati.

  1. ABACO DEI TERMINI TECNICI E LORO RAPPRESENTAZIONE GRAFICA

È fondamentale che la linguistica tecnica sia certa e non interpretabile. Deve, in altri termini, perdere il più possibile la connotazione letteraria per avvicinare quella matematica. Ogni singolo termine tecnico deve essere descritto in termini di senso dove il dato letterale deve essere accompagnato da quello grafico/numerico. Una finestra non è un abbaino, oppure lo è? Che la si definisca esattamente in relazione a tutte le possibili condizioni. Cos’è un tramezzo, cos’è una struttura removibile? Perché una struttura in ferro è removibile e una in cartongesso no? Perché una struttura removibile non ha impatto visivo? Decine di termini e condizioni attorno alle quali ruotano interpretazione e personalizzazioni inaccettabili  per una materia che è prima espressione di quantificazione e poi di qualità (e non viceversa).

  1. CONTINUITA’ AMMINISTRATIVA

È necessario che Dirigenti e Direzioni Pubbliche redigano un giornale dei lavori, standardizzato (Protocollo), per congiungere il proprio operato con quello dei subentranti.

NB: sullo sfondo delle regole di base dovrà attivarsi la tanto e giustamente richiesta “trasparenza”, la quale applicata alle condizioni attuali mette in luce la sola facciata (risultato fine a sé stesso) e non l’interno dell’edificio (risultato verificato);  

L’assenza di punti cardine, non a caso, porta al continuo andare in deroga e nulla è più garantito. E porta inevitabilmente, se si è capita la capacità paralizzante del problema, ad assumere una posizione di azzeramento operativo/progettuale non per “non fare” ma per poter creare quelle condizioni utili a ripartire con regole capaci di garantire un risultato entro percentuali ampie (oggi rasentiamo qualche punto percentuale), tipiche e conformi a tutti i contesti internazionali. Ergo, referendum o meno, le Olimpiadi non le possiamo fare. In tutto questo si inserisce il M5S, che spero mi legga, che per ora si muove male nella forma, aspetto scontato che non mi scandalizza, mentre nella sostanza stanno facendo cose giuste, come appunto la rinuncia alle Olimpiadi. E la sostanza è la prima cosa che conta se vogliamo che l’immagine non sia solo forma. E questa rinuncia è un’occasione importante che per la prima volta si manifesta. Mai prima d’ora qualcuno aveva azzerato l’edilizia, ovvero la possibilità di speculazione. Mai nessuno aveva disarmato alla base quelle “leggi” che dal dopoguerra ad oggi fanno devastazioni, dalle case alle grandi opere. Ma il panorama in cui viviamo era stato minato alla base, nonostante fallimenti continui, da Corviale alle periferie tutte. Detta in altro modo, l’amministrazione truffaldina del passato non è comparabile con quella attuale che si tira fuori dal contendere non per “incapacità” ma per “impossibilità”, e l’impossibilità risiede in aspetti meramente tecnici (come espressi sopra) non legati alle volontà personali. Ovvero, chi rubava e ruba tutt’ora lo faceva e lo fa perché può farlo in ragione di buchi normativi e legislativi che stimolano da sempre l’occasione per fare l’uomo ladro. In questo panorama legislativo pieno di buchi, assente di regole di base, dove edilizia e infrastrutture non saranno mai garantite, non puoi affidarti a nessuno, poiché quel nessuno deve vedere modificate le leggi per poter agire onestamente e vedere minimizzata l’occasione di diventare ladro. Questo è il punto, ma nessuno lo tocca, nemmeno il M5S, che per ora fa melina, tocca punti nodali, li blocca, li inibisce (e questo è già tanto), ma ancora non inquadra la sostanza del problema. Devono spostare l’indice, dall’onestà delle persone (che pure conta) all’onestà delle leggi. Dovranno mettere mano, quando potranno, alle leggi per creare quelle di base, ma per ora possono solo operare in termini di “blocco”.

Per entrare nel merito storico è facile constatare che il trend negativo dell’edilizia nostrana sia in continua progressione. Per trovare qualcosa di positivo e significativo in termini operativi si deve risalire a Nervi, ovvero agli anni ’50, ovvero a ridosso delle Olimpiadi del ’60, che sono considerate il primo evento moderno e mediatico (la RAI all’epoca era un riferimento nel mondo, ora sta risalendo la china). Ma era tutto nuovo, uscivi dalla guerra, c’era il boom economico, potevi da un lato puntare sull’onestà intellettuale legata alla rinascita, e dall’altro c’era spazio per rubare e fare bene, fermo restando che di qualità se ne faceva poca anche allora. L’edilizia italiana era tutta casa e speculazione, e i piani regolatori venivano modificati continuamente perché “modificabili”, ovvero, e appunto, tutto era possibile come ora. Le regole di base mancano da sempre. Infatti una delle tante cose disattese nel dopoguerra a Roma, e nell’indifferenza più totale, fu la conversione degli spazi ai piani terra dei palazzi che secondo PRG sarebbero dovuti essere destinati a parcheggi e che invece poi diventeranno tutti negozi. L’orrore c’era già allora, solo che non risuonava forte come adesso, sommerso dall’asocialità generale nutrita dall’assenza di regole di base. Quindi, non c’è molta differenza tra allora e adesso, ora si è solo e inevitabilmente alzato il tiro.

Il Controllore non ha strumenti, altrimenti le Vele di Calatrava non starebbero lì da più di 9 anni (!) a nemmeno 1/5 del loro cammino (e con loro tante altre strutture). Il Controllore in Italia è solo rappresentato dalla Magistratura, ovvero quando ormai la frittata è fatta. E questo è molto indicativo. Se è la Magistratura l’unica ad intervenire vuol dire che il Controllore istituzionale, civile, non ha strumenti. Ovvero non esiste. E infatti questa assenza fa parte delle tante “assenze di base” per cui non funzionerà mai nulla. Il Sindaco, e con lui tutti coloro che sono a capo di qualcosa, non ha potere di controllo alcuno. La prima norma “direttamente operativa” che è stata introdotta in ambito pubblico è quella del controllo della timbratura dei cartellini. Non so se rendo l’idea dell’assenza di regole di base. E’ stata anche inserita da poco una legislazione specifica che responsabilizza penalmente (?) i tecnici che operano in ambito pubblico. Da un lato è un continuo sfettucciare di leggi e dall’altro inserire penali. Tutto giusto ma senza regolamentazioni di base  questi interventi non possono far altro che alimentare conflitto e scontro tra le parti che invece dovrebbero cooperare per poi accettare serenamente la sanzione se il loro operato potesse essere riferito a protocolli e linee guida. Ci sono cose oggettive, palesi, che sono da sempre totalmente filtrate dal sistema (dai sindacati, dall’assenza di gerarchie e responsabilità dirette, ecc…) e che invece dovrebbero essere sanzionate in modo diretto, senza dover passare per la Magistratura o il Giudice di Pace. E poi si dice che la Magistratura è di parte o che non fa il proprio dovere. Non è affatto così. O comunque, se pure lo fosse, ad oggi, per come è strutturato il sistema, è impossibile accettarlo, tanto è eccessiva la delega di risoluzione di tutti i mali alla Magistratura e alla giurisprudenza tutta. E questo eccesso di delega vale ancora di più per l’edilizia e le infrastrutture visto che muovono interessi ed economie enormi, e visto che rappresentano un settore ampiamente sensibile e quantificabile, tanto è vero che oggi è nato il BIM, Building Information Modelling (l’archetipo è MicroStation di Macintosh).

Queste leggi sono state scritte “incontrollabili” proprio dal legislatore stesso, dai governi, dal sistema politico che si è sviluppato e poi avviluppato attorno alle leggi stesse che ha creato, e che progressivamente ha affinato a vantaggio di se stesso, ergo a vantaggio di chi le usa per fini personali senza riguardo alcuno per l’etica e la socialità. Ma la socialità deve essere anche indirizzata, mentre l’Italia è legislativamente la somma di fini personali. Ma a forza di spingere sull’acceleratore, dal CAF ad oggi, le persone che non trovano più vantaggi personali sono aumentate e si è generata una controreazione rappresentata ora dal M5S, e già prima dalla Lega, con la differenza che quest’ultima, come i Radicali, è entrata nel sistema con l’alibi o la presunzione di modificarlo, ma quando ti sporchi non puoi più dire ad un altro che è sporco. E la Politica è fatta di compromessi etici e sociali, non di condivisione di illegalità e ingiustizie. Quindi l’unica possibilità è quella di rimanere fuori, non chiamarsi nemmeno partito, e provare ad arrivare a governare per poi entrare nel merito delle leggi e creare quelle di base. Ma se tutta la premessa tattica del M5S è ben chiara, altrettanto non lo è la parte operativa sostanziale, quella appunto della definizione delle “regole di base”, la cui certezza avremo solo quando saranno in condizione di operare. Sempre che abbiano compreso che il problema è lì, e non nella “genetica” degli italiani (come scriveva già Pasolini). Per oggi la controreazione operativa arriva solo dalla Magistratura, non dalla Politica, nè dall’Amministrazione stessa, né da tutti gli apparati annessi, che non hanno mai sanzionato sé stessi non avendo abilmente mai creato le condizioni per farlo. Un sistema mafioso si basa sulla “aleatorietà della sanzione” che poi chiama “autoresponsabilizzazione” che invece è controllo personalizzato su basi asociali. Il “mafioso” ti fa sempre parcheggiare in doppia fila, poi un giorno ti chiede un favore che non puoi rifiutare e quel favore vale la somma di tutte le parcheggiate in doppia fila. Il mafioso capitalizza l’asocialità che noi scambiamo per libertà. L’Italiano ha una scarsa opinione di sé e quindi una grande presunzione e questo tutti i “furbi” lo sanno bene. E l’amministrazione che fa parcheggiare in doppia fila non crea mai le condizioni per  rendere necessaria la realizzazione dei parcheggi mancanti. E il numero di parcheggi possibili dovrebbe essere quantomeno corrispondente al numero di macchine residenti e circolanti. E l’amministrazione si è mai chiesta quale sia il rapporto tra auto e parcheggi?

Quindi, è perfettamente comprensibile chi grida alle Olimpiadi come occasione per rilanciarsi, ma questo è il primo ragionamento, e il fermarsi al primo ragionamento se lo possono permettere solo quelli che stanno nella bambagia o che ne trarrebbero direttamente vantaggio (io potrei essere uno di questi). Se non avessimo problemi strutturali sarebbe irrazionale non sposare un approccio operativo, fattivo, che punti a riscattarsi. Quindi comprendo chi vorrebbe sposare la positività operativa, ma le mani in pasta, forti anche di una coscienza ormai comune a gran parte dell’ambito professionale di base, mi portano a dire che l’inversione di tendenza sarà possibile solo se ci si ferma per mettere mano alle regole di base. Come dire, allora, che la positività si spenda in direzione della creazione di quegli aspetti “tecnico legislativi di base” necessari a che questa positività poi possa anche diventare fattiva e progettuale. E questo è possibile solo se mettiamo da parte gli interessi personali particolari a vantaggio di un più importante interesse sociale per poter ripartire con regole di base utili a garantire controlli, perfomance e risultati verificati, peraltro ormai tipici a tutto l’ambito professionale internazionale.

Inoltre, non si può affrontare questo argomento senza puntare l’attenzione sulle “sanzioni”. La sanzione passa per la Magistratura anche per “errori palesi” le cui conseguenze dovrebbero essere invece automatiche e gestite direttamente dai Dirigenti. Appunto, si continua a scambiare quantificazione per poesia (a volerla leggere poeticamente…) e l’assenza di protocolli persiste in Italia in ragione di un’idea estremamente variabile dei processi edilizi continuando a scambiare creatività con tipizzazione operativa (sia in termini costruttivi che amministrativi). Ad esempio, il RUP (responsabile unico del procedimento) è la figura che dovrebbe coordinare e quindi controllare tutto l’iter e tutte le figure coinvolte. Il punto è che non essendoci protocolli non può seguire alcuna linea guida che gli permetta di stabilire cosa sia corretto e cosa no, se non tracciare una propria linea personale, sicuramente sapiente, ma che richiede un enorme dispendio di energie e tempo del tutto inutile unitamente al problema della soggettività/oggettività. Tutto fa riferimento ai capitolati e agli elaborati grafici ma anche questi non rispondono ad alcun protocollo e quindi sono soggetti a personalizzazioni. Quindi se è vero che un RUP nasce per controllare, e se è vero che alcune cose sono palesi, e se è vero che non esiste alcuna modalità sanzionatoria diretta, è anche vero che nel ginepraio infinito delle questioni edilizie nessuno sa come muoversi non essendo ormai affatto semplice in piena autonomia tracciare linee di controllo e quindi di verifica tra leggi, norme e raccomandazioni iso e uni. I protocolli porterebbero alla quantificazione e di conseguenza alla sanzione di aspetti palesi e/o standardizzabili (che sono la maggior parte). L’edilizia, tranne rari casi che non fanno testo, non è poesia. Ma ha fatto molto comodo che lo fosse, ma oggi le “Vele” non si alzano più. Tutto questo inibisce qualunque umanità e lungimiranza sociale prima che politica.

Le regole di base devono riguardare quindi tutti  i contesti istituzionali che saranno resi soggetti responsabili attraverso l’ufficializzazione e la trasparenza delle proprie risposte alle istanze e ai quesiti che le verranno posti sia da parte delle istituzioni stesse che da parte dei professionisti e dei cittadini. Saranno necessari quindi luoghi terzi, che creino una triangolazione tra professione e università, che mettano a sistema i centri interdipartimentali,  la Corte dei Conti (che è Governo) e gli Ordini professionali. La comunità scientifica che è rappresentabile da tutta la base professionale e accademica ad oggi è solo un valore potenziale inespresso, mentre nella trasparenza l’idea giusta avrà maggiori possibilità di essere resa popolare e di essere cavalcate dagli organi politici. Se non si mette in correlazione popolare con politica, se non si creano le condizioni per rendere popolari concetti tecnico/scientifici, ovvero se non si crea una connessione tra mondo scientifico/professionale e quello non specializzato e popolare, non ci sarà mai possibilità di veicolare il “giusto” e il “necessario” distinguendolo dallo “sbagliato” e dal “superfluo”. E’ il mondo scientifico e professionale che, una volta individuata la soluzione, deve trovare il modo per renderla comprensibile ai non addetti. E questo può accadere solo se il filtro non c’è. Solo se gli organi scientifici e professionali creano le condizioni per accogliere scientificità e professionalità  esterne. In altri termini questo può accadere solo se il processo di ricerca, proposta e ideazione, è soggetto “a rendimento” e quindi “a tempo”, unitamente al superamento delle “barriere autoritarie” superabili con l’istituzione di tavoli tematici aperti a tutti. In questo senso deve cambiare totalmente il filtro delle proposte e delle valutazioni. E qui non è possibile non passare per il concetto di Brevetto in quanto le idee alimentano il progresso. Uno Stato dovrebbe fare del tutto per attivare processi di stimolo delle idee. L’elemento primo perché ciò accada è proprio la disgiunzione tra idea e costo eliminando la tassazione che è estreamente costosa per l’Autore e irrilevante in termini economici nazionali. l’European Patent Office nel 2013 ha emesso 265.690 brevetti, di cui 4.663 italiani[4]. Considerando che ora un brevetto europeo costa circa 2000 euro[5], l’incasso europeo è pari a circa 530 milioni di euro di cui 9 milioni sarebbero italiani. Comunque piccole cifre che diventano ancora più piccole considerato che un brevetto solo europeo vale poco. Un brevetto è da intendere come interesse privato con una grande ricaduta sociale e pubblica. Dovrebbe essere la prima risorsa che uno Stato lungimirante dovrebbe pensare di finanziare, per autoalimentarsi poi. Lo Stato dovrebbe autofinanziarsi l’individuazione e la tutela delle idee. E il prima si fonderà col poi, accorciando la distanza tra presente e futuro. L’idea è il carburante invisibile che diventa tattile, quando si materializza. E nel materializzarsi diventa risorsa di e per tutti. Ma per aumentare le possibilità di materializzazione devono essere rimossi i costi individuali di estrazione dell’idea. Inoltre la tassazione dell’idea rappresenta un costo che pesa doppiamente sull’ideatore stesso che ha già svolto un lavoro spendendo tempo e risorse. Fargli pagare un prezzo significa, nella maggior parte dei casi, impedire a quell’idea di manifestarsi e quindi di nascere. Quella Tassa è ostacolo spesso insormontabile per il Singolo, mentre, e qui sta il punto, è risibile per la Comunità. L’idea manifesta è ponte potenziale tra Singolo e Comunità. L’interruzione dell’idea interrompe il ponte. Se non c’è manifestazione dell’Individuo non c’è Comunità, né Stato. Uno Stato che specula sulle idee non riconosce sé stesso. Come dire che per sentirsi vivo al momento, si suicida a breve termine.

INTERVENTI DI BASE

Oltre alle regole di base, si tratta di mettere in atto anche “interventi di base”, quindi acclarati, che da decenni vengono totalmente elusi. Un esempio semplice ma esplicativo che vale per tutti: a Roma, come in tante altre città italiane le tubazioni del gas, dell’acqua, dell’elettricità, di rete e telefoniche, sono semplicemente interrate. Questo comporta operazioni di manutenzione molto lunghe e articolate, che richiedono l’isolamento della zona d’intervento e la sospensione delle attività interferenti (flusso del traffico, distacchi utenze, ecc…)[6].

E tutto questo avrebbe una semplice risposta che si chiama “cavidotto interrato prefabbricato e ispezionabile”. Questo intervento infrastrutturale avrebbe costi importanti se dovesse essere messo in atto territorialmente e temporalmente in modo continuo, ma avrebbe un costo comparabile alla manutenzione attuale qualora fosse realizzato in modo discontinuo e progressivo, man mano che si richiedano interventi di manutenzione o d’urgenza. La comparabilità sta nel fatto che le attuali manutenzioni vengono effettuate singolarmente per ogni utenza per un costo di sterro e reinterro e ripristino dell’asfalto che deve essere moltiplicato per ogni singola utenza (per non parlare dei danni occasionali prodotti dalle operazioni di sterro non essendo possibile una mappatura certa della distribuzione interrata delle condutture e dei cavi). In quest’ottica il costo per la gestione delle condutture e dei cavi interrati deve essere considerato come la somma dei singoli interventi, mentre l’intervento del “cavidotto interrato” sarebbe prodotto in un’unica soluzione per contenere tutte le tubazioni, i cavi e le reti. Passo passo si avrebbe una rete di “cavidotti ispezionabili” che minimizzerebbe i costi di manutenzione e intervento, migliorerebbe le condizioni di lavoro elevandole in termini di efficienza e di specializzazione, e, in quanto elementi circoscritti e autoportanti, le successive operazioni di manutenzione non interferirebbero nemmeno più con gli scavi per fini archeologici. Cosa porta una soluzione ottimale sotto tutti i punti di vista, operativi, gestionali, economici, sociali, a non essere attuata? La mancanza di regole di base, di regole che dovrebbero riuscire a mettere a sistema le idee, le proposte, le soluzioni provenienti dai luoghi specializzati, dai settori inerenti.

La quintessenza operativa di quanto ho espresso più sopra è interno a due contesti a me vicini, visivo e acustico, che sono i meno normati in assoluto e quindi più soggetti all’assenza di regole di base. Legislazione e normativa vanno di pari passo con “sensibilità sociale”, ovvero la legislazione nasce a fronte della presa di coscienza di una data esigenza. Ebbene, acustica e visivo sono ultimi in tutto. Non c’è normativa acustica per gli auditorium, per i teatri, né per i refettori che sono tra gli ambienti acusticamente più devastanti in termini sanitari. Ebbene, il legislatore ha creato la figura del “Tecnico competente in acustica ambientale” (TCiAA), in altri termini un Tecnico di misura, senza pensare che prima di creare questa qualifica dovesse esistere quella di base, di riferimento, ovvero quella del “Progettista acustico”. E così il Tecnico di misura in virtù di tale assenza è diventato per estensione anche progettista sebbene la sua qualifica non richieda nemmeno necessariamente la laurea. La domanda è la seguente: se l’acustica richiede una abilitazione specifica per la misurazione, non è questo indicativo di una tale specificità da richiedere la qualifica accademica e professionale della figura di Progettista acustico? Ovviamente si, infatti gli auditorium non suonano e le città sono sinonimo di rumore (mi fermo qui, richiedendo la materia un approfondimento verticale). Non c’è normativa visiva per la pubblicistica e per il mondo dell’immagine (anche qui mi limito ad uno “spot” per poi, se sarà possibile, riprendere la problematica in modo dedicato). In tutto questo il mondo accademico, espressione della massima intelligenza e sensibilità, dovrebbe essere il primo a rilevare l’assenza delle regole di base.

Durante la mia esperienza di docente a contratto ho promosso in proprio percorsi di ricerca, ideato e sperimentato metodologie generali e specifiche, in linea con l’idea di definire le “regole di base” inerenti le materie che ho insegnato, ma nonostante innumerevoli iniziative e il grande interesse riscontrato non si sono mai create le condizioni affinché i risultati ottenuti potessero trasformarsi in capitale reale per poter poi lavorare in direzione sociale e quindi legislativa.

Ora, grazie alla mia esperienza universitaria e da professionista, so che questa indifferenza, non d’interesse ma di finalità fattiva, è la stessa che poi si riversa sul settore “edile e infrastrutturale” che non dimostra capacità alcuna di controreazionare i problemi che lo affliggono e lo hanno portato progressivamente dalle elongazioni temporali ed economiche addirittura alle irrealizzabilità. L’esperienza mi dice che è un settore che riconosce sé stesso, che individua i propri punti deboli e le risoluzioni degli stessi, che sa leggere le istanze ma che poi rimane bloccato senza operare in direzione fattiva. E un settore scientifico che individua le esigenze che poi non porta avanti, che riconosce le istanze che poi lascia nel limbo, è un settore evidentemente bloccato da fattori esterni, che tutto sono tranne che di carattere universitario e tantomeno scientifico. Evidentemente, altri fattori di base (di nuovo) quali la struttura a  “carriera” e non a “rendimento” portano l’Università ad assumere atteggiamenti ministeriali che poi fanno specchio con la cancellazione della Ricerca che costituisce la prima e vera causa dell’impossibilità di agire sanamente e utilmente per la società. L’Università è luogo di Ricerca, quindi di accertamento primo delle esigenza sociali e conseguentemente luogo primario di promozione legislativa e normativa. Se viene meno il ruolo pro-motore dell’Università, la coscienza sociale si ferma e tutto involve (e in questo è paradigmatico che la procedura di Abilitazione Scientifica Nazionale sia incorsa in numerosi stop proprio in ragione dell’assenza di protocolli di riferimento). E questo stallo, che poi diventa regressione, si esalta nei contesti quantitativi, quelli strettamente connessi con le economie, quelli ingegneristici, architettonici, elettronici, fisici, pubblicistici, in altre parole luoghi dove il pensiero diventa materialmente operativo con impatto pesabile, fisicamente accertabile e quindi economicamente quantificabile. Anche qui, evidemente, la questione non è dualistica tra capaci e incapaci, tra pubblico e privato, ma di sistema.

Tornando al parcheggio, tutti sappiamo quanto sia difficile parcheggiare a Roma. Difficoltà che potrebbe essere ritenuta fisiologica di giorno quando i flussi possono variare molto, ma non di sera, al ritorno dal lavoro, quando il parcheggio è funzione di flussi zonali più stabili. E, al ritorno a casa, spesso siamo “costretti” a parcheggiare in sosta vietata. Questo significa semplicemente che il numero di parcheggi è notevolmente inferiore alla ricettività automobilistica della zona. E di zona in zona si arriva a Roma tutta. E di doppia fila in doppia fila si arriva ad una società incivile per induzione e non per via genetica. Si fa l’esempio di viale Marconi dove sistematicamente le macchine sono parcheggiate in sosta vietata lungo tutta la mezzeria della carreggiata. Accade che le amministrazioni, da sempre, invece di regolarizzare quella insostenibile condizione accettando la necessità e creando una semplice mezzeria progettata ad hoc per accogliere la sosta delle auto, creino e mantengano invece una condizione di illegalità diffusa, per poi “necessariamente” tollerarla. Quella tolleranza è figlia di un atteggiamento tecnicamente mafioso in quanto crea una necessità per obbligare il cittadino a “risolverla” illegalmente e poi applicargli la sanzione quando serve.

Eppure immaginare di avere un rapporto 1:1 tra auto e parcheggi non sarebbe impensabile se abbiamo studiato che in sede progettuale il previsionale di flusso dovrebbe contemplare per “lungimiranza” anche un certo numero di parcheggi in più. Ma poi c’è la realtà. A Roma il numero di parcheggi è di gran lunga inferiore alle macchine circolanti. Allora ci si chiede, qual è lo sforamento consentito ad una amministrazione per poter dire di non essere inadempiente e sentirsi giusta nell’esercitare la propria azione sanzionatoria? Oppostamente, qual è la soglia oltre la quale il cittadino è spinto ad errare?

La questione è quindi la “soglia”. Fermo restando che esiste sempre una soglia, da intendere come margine di sforamento del giusto, ci si chiede che differenza c’è tra cittadino e amministrazione quando entrambi dipendono da leggi e limiti che qualificano lo Stato attraverso input governativi? Come è possibile non attribuire la causa dell’assenza di regole di base (non specifiche) ad una precisa e cosciente volontà governativa tanto è pluridecennale il problema? Come è possibile non notare che l’inefficienza dipenda dall’assenza di queste regole di base e non dai dualismi tra guelfi e ghibellini, ovvero tra cittadini? Le regole di base per definizione guardano ai cittadini tutti e servono proprio a limitare fazioni per questioni palesi. Ma, in assenza di regole di base prevale il permetterti di parcheggiare in doppia fila per poterti fare la multa quando voglio, ma ad un certo punto la soglia non la governi più, non riesci più a governare il “limite”.  La soglia si sposta praticamente da sola e l’illegalità va a sistema. E’ “permissivismo peloso” ed è un fenomeno tutto italiano. Ma dobbiamo capire che ormai la soglia è oltre lo sforamento indotto, governato, ben oltre limiti civili, sostenibili.  Parcheggi, tasse, mondo del lavoro, della ricerca, edilizia e infrastrutture, tutti sono condizionati dall’assenza di regole di base, assenza talmente fertilizzante che nessuno ormai ha più colpa, e la soglia continua a spostarsi.

Se l’edilizia e le infrastrutture hanno l’aspirazione di farsi espressione di “naturalità” (!) allora sono la linfa vitale di un Paese e, oneri e onori, rappresentano l’espressione più totalizzante e significativa dell’idea di socialità e, quindi, di sistematicità nazionale.

Allora, lavoriamo alla creazione di queste regole di base.

Marco Valerio Masci

foto di Testa: Marco Valerio Masci, Tunnel (velocità), ‎2 ‎giugno ‎2010 (Casio EX-ZR100)

[1] http://www.fondazionepietromennea.it/dettaglilibro.asp?idlibri=21

[2] http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-02-14/olimpiadi-grecia-2004-furono-132654.shtml?uuid=AaovUirE&refresh_ce=1

[3] http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2016/09/24/olimpiadi-i-numeri-tanti-dicono-che-e-una-vittoria-da-lasciar-perdere/

[4]  “L’Italia perde terreno sui brevetti ed esce dalla top ten” di Laura Cavestri, Il Sole24 Ore, marzo 2014; http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2014-03-07/l-italia-perdere-terreno-brevetti-ed-esce-top-ten–083337.shtml?uuid=AB4MPP1&refresh_ce=1

[5] “Vuoi registrare un brevetto?” di Lucio Torri, Il Sole24 Ore, maggio 2015; http://www.corriere.it/economia/finanza_e_risparmio/notizie/vuoi-registrare-brevetto-ue-costa-1500-euro-aeac6250-f304-11e4-a9b9-3b8b5258745e.shtml

[6] http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2016/10/18/news/la-ue-boccia-la-rete-idrica-regionale-maxi-multa-da-66-milioni-all-anno-1.14269870

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