…albergo abusivo, diga su faglia attiva, eccetera senza “regole di base”…

…albergo abusivo, diga su faglia attiva, eccetera senza “regole di base”…

La prevenzione conta, ci mancherebbe, ma contro le forze della natura puoi fare poco, in particolare in questo caso. Nella migliore delle ipotesi, ammesso che fosse possibile, si poteva prevenire la valanga/smottamento e salvare tutte le persone, cosa ovviamente fondamentale e di primaria importanza. Ma l’albergo sarebbe stato distrutto comunque. Qual è allora il senso di costruire in zone dove sappiamo benissimo che prima o poi, dopo un anno o dopo 100, avviene il disastro e perdi tutto? Prevenzione di cosa? Ovviamente non si sta parlando di costruzioni storiche, ma di costruzioni di qualche decina di anni, ovvero di quando si sapeva già tutto.

Qui prima c’era una “casetta/rifugio” che poi è diventata un albergo, ma in un paese “civile” non sarebbe proprio possibile costruire nel bel mezzo di un canalone e per di più sulla parte terminale dello stesso, luogo di sedimentazione di valanghe millenarie.

Il punto non è lamentarsi ma sapere che di queste cose ne possono accadere migliaia per il semplice motivo che possono appunto accadere essendo assenti quelle “regole di base” che ne impedirebbero lo sviluppo sul nascere. Ad esempio le eruzioni a certe condizioni si prevedono, i terremoti quasi. La teoria di Michael Janitch è l’uovo di Colombo, è da seguire, unitamente a quelle meno “globali” e più puntuali di Gagliardi-Calandra e Giuliani. Ma questi sono aspetti il cui potenziale previsionale, peraltro ancora discutibile e in fase di sviluppo e definizione, non rende comunque lecita l’elusione della prevenzione operativa da parte dell’uomo che possibilmente dovrebbe fare del tutto per allontanare sé stesso dal rischio.

L’albergo è stato costruito portando in ampliamento con variazione di destinazione d’uso un rifugio nato dove sarebbe stato proibito costruire. Il condizionale è “tecnicamente” d’obbligo e si capirà più avanti. Il punto di locazione dell’albergo è il punto di convergenza di “tre canali” a smottamento certo descritti sulle mappe geologiche sin dal 1991. In questi casi non c’è prevenzione che tenga. Sarebbe stato proibito costruire perché in zone come queste non è possibile alcuna prevenzione. Per questo motivo queste zone sono state censite per poter essere escluse dai piani di urbanizzazione. E se in scienza e coscienza costruisci in queste zone la “coscienza” te la sbatti. Uno smottamento di quel tipo, fatto di detriti, alberi e neve, non lo puoi gestire in nessun modo, anche perché gran parte del lavoro lo aveva fatto il terremoto. Qui non si tratta di neve, ma di una valanga la cui caratteristica è più vicina ad una caduta di un meteorite che a quella di un uragano (che pure sarebbe pericoloso), tanto per capirci con un esempio “laterale” ma congruo. Sapremmo come prevenire la caduta di un meteorite? No, perché non sapremmo dove e quando cade, e se pure lo sapessimo non potremmo fermarlo. Ecco, quella valanga di neve, sassi e alberi è stata come un “meteorite dilazionato”. In questi casi non c’è prevenzione né possibilità alcuna di gestire questi contesti. Dobbiamo quindi solo decidere se dare peso alle mappe oppure se sono lì per “bellezza”, memori peraltro del declassamento “politico” da zona sismica 1 a 2 dell’aquilano.

Quando dico che queste cose accadono per mancanza di “regole di base” intendo ad esempio che il parere di una Commissione Scientifica non può essere superato da quello politico o da altro parere tecnico quando questo fosse subordinato per diversa competenza. E questo è quello che è accaduto e che accade sempre. L’ufficio tecnico può bypassare totalmente le indicazioni geologiche specifiche, è successo qui ed e è accaduto a L’Aquila. La “regola di base” mancante qui per cui queste cose possono legittimamente accadere è la “mancanza di subordinazione” dei poteri in relazione alle loro funzioni, competenze e responsabilità. Noi siamo il Paese dove i livelli di comando correlato non esistono per non far esistere le responsabilità diretta, acclarata d’ufficio. Il concetto di Dirigente o di Organo Dirigenziale è solo forma. E questo rende ingestibile qualunque processo di verifica e controllo che sia strettamente connesso alla responsabilità diretta.

Questo è IL PROBLEMA; il politico non ha nozioni tecniche e fa scelte appunto “politiche” e il tecnico è tecnicamente deresponsabilizzato dall’assenza di subordinazione. Nessuno ha colpe e tutto crolla. Il soggetto in questo caso è l’Ufficio Tecnico che prevale su tutto e tutti, e nel prevalere su aspetti non di sua competenza diventa fisiologicamente la longa mano della Politica che a sua volta diventa espressione diretta di interessi particolari e non sociali. In sostanza l’UT diventa indirettamente elemento politico e non più tecnico.

Anche a livello di base la questione è in termini effettivi la stessa. Il Tecnico abilitato firma, e l’Ufficio Tecnico, che approva, è totalmente deresponsabilizzato. Questa condizione legittima automaticamente l’esercizio coercitivo in termini di “pressione sul Tecnico firmatario” (unico responsabile diretto) per totale deresponsabilizzazione di chi approva. Il rischio di chi approva non solo è zero, ma può contare addirittura sul rischio deferito ad altra entità professionale; il Tecnico firmatario. Da qui parte la vera e propria liberatoria al massacro sociale che dalle disfunzioni relazionali arriva fino alle mancanze vitali.

Se a tutto questo ci sommiamo come funziona la “catalogazione” in Italia arriviamo all’omicidio perfetto. E’ a singola copia, non c’è un Ente terzo che faccia “copia” e ratifica dei documenti autorizzativi. In questo mondo, così fatto, le carte possono cambiare a “piacimento” quando serve, per “non riconoscibilità” del supporto grafico, perché la mappa è una ma non è disponibile, perché è in archivio ma l’archivio è chiuso, perché si è deteriorata, perché non esiste un archivio, perché è andata è bruciata a causa di un incendio, perché nessuno ha mai ritenuto necessario rendere obbligatorio farne una copia accessibile peraltro in tempo reale. Peraltro gli Enti autorizzativi per legge possono (non devono) tenere i documenti per 5 anni (al massimo 10). In qualunque rapporto contrattuale le due parti hanno interesse entrambe a tenere al meglio, e fino a conclusione del contratto, i documenti che le legano reciprocamente. Non credo sia necessario aggiungere altro.

A tutto questo aggiungiamo che geometri, ingegneri e architetti iscritti all’Ordine sono Pubblici Ufficiali.

La questione è sicuramente complessa, ma sicuramente potrebbe esserlo meno se ci fossero le “regole di base” a cui facciamo riferimento.

Insomma, dobbiamo arrivare al perché le cose accadono. La mia esperienza professionale mi porta ad individuare l’assenza di regole che in altri paesi  sono ovvie, quindi basilari. Vedi Francia e Germania dove i progettisti sono al vertice dei processi che ruotano attorno alla realizzazione di un’Opera, pubblica o privata che sia, per governare processi in gran parte già predefiniti e dove le competenze vincolanti sono già diretta emanazione degli Enti Autorizzativi frutto di un chiaro rapporto di subordinazione tra loro. Mentre da noi ancora OGGI si costruisce in posti in cui non è possibile costruire e il tutto per l’assenza di “regole di base” che lo impediscano seriamente. Altrove è l’eccezione, da noi la regola. Allora, la questione è “sistemica” e questo lo dico dopo anni di valutazioni e riscontri, confortato anche da pareri di generazioni antecedenti la mia, unitamente al fatto che rifiuto a priori per impostazione di vita che esistano “cretini o ladri” quando questi superino la soglia del 50%. Quindi, se la questione è “sistemica” significa che ci sono possibilità e condizioni specifiche che la rendono tale. E siccome il mondo si muove attorno a regole, è evidente che queste condizioni “sistemiche”, essendo diffuse e quindi di base, vivano grazie alla mancanza di “regole di base”. Regole di base presenti in molti paesi democratici (trasparenza, responsabilità, livelli, ruoli, conflitto d’interesse, valutazione del merito, criteri concorsuali, enti terzi, reciprocità del danno, ecc…), che hanno problemi anche loro, ma non evidentemente di base. E avere problemi di base è estremamente inibente per lo sviluppo sociale e democratico di una Nazione. Infatti abbiamo problemi di opportunità in termini di merito.

[1] https://www.google.it/amp/www.repubblica.it/cronaca/2017/01/23/news/rigopiano_valanga_forum_h2o_abruzzo-156682455/amp/?client=safari

Le tre immagini seguenti sono stralci che ho estratto dalle mappe PAI della Regione Abruzzo.

Stralcio della Carta delle Aree a Rischio – PAI Abruzzo MRG 350 Ovest

 

Stralcio della Carta delle Pericolosità PAI Abruzzo MRG 350 Ovest – “Pericolo da Scarpate – Aree interessate da Dissesti generati da Scarpate”

 

Carta Geomorfologica – PAI Abruzzo MRG 350 Ovest – Orlo di scarpata con influenza strutturale interessata da caduta di detrito.

Le annotazioni rilevanti delle mappe direttamente connesse alla locazione dell’Hotel sono:

  • “PS – Pericolo da Scarpate – Aree interessate da Dissesti generati da Scarpate” (Carta della Pericolosità). Tale condizione è subito a valle del Rigopiano e avrebbe favorito lo slittamento di circa 10 m dell’intero Hotel posizionato appena a ridosso della scarpata. Ovvero, il terreno che precede la scarpata, quello su cui insisteva l’Hotel, è quello interessato dal “Dissesto da Scarpate”.
  • “Orlo di scarpata con influenza strutturale interessata da caduta di detrito” (Carta Geomorfologica). Tale condizione ha interessato il lato nord-ovest dell’albergo investito anche da quel lato da detriti e alberi che lo hanno demolito unitamente alla valanga di neve.
  • “Conoide alluvionale ATTIVO + Cono di origine mista ATTIVO” (Carta Geomorfologica). Tale condizione è la causa complessiva di quanto accaduto per “smottamento misto” (neve, ghiaccio, detriti, rocce, alberi).

Ora, acclarato che quello che è accaduto era già scritto, dobbiamo soffermarci su alcuni aspetti e fare alcune precisazioni:

  • Primo: l’unico interrogativo senza risposta era il momento in cui si sarebbe potuto manifestare il disastro;
  • Secondo: l’effetto somma Carta Geomorfologica + Carta di Zonizzazione Sismica non viene considerato mentre dovrebbe produrre una “Terza” mappa-somma dei due rischi, aumentando l’impossibilità di costruire in quella zona;
  • Terzo: tutte queste indicazioni sono state completamente eluse.

A questo punto la domanda è, perché le indicazioni geomorfologiche non sono state riportate nel Piano di Urbanizzazione? Pensate che tanta evidenza possa essere elusa con il consenso di migliaia di occhi per decenni? Il motivo è semplice, purtroppo è perché il Piano di Urbanizzazione non ha nessun obbligo di recepimento, se non quello della “scienza e coscienza”, sulle indicazioni che altri Enti forniscono. E questo è espresso anche all’interno delle mappe PAI dove si scrive <<La distribuzione territoriale delle aree a diverso grado di Rischio rappresenta la base per definire le scelte operative finalizzate al perseguimento degli obiettivi di pianificazione.>, ovvero si dice “rappresenta la base” e non si esprime alcun “obbligo”. Ne consegue che i piani di urbanizzazione siano lecitamente messi nella condizione di deliberare in piena autonomia, per sola scienza e coscienza e, l’eventuale incoscienza sarà dimostrabile solo per vie legali, scomodando magistrati e Tar per un qualcosa che dovrebbe essere gestito in modo pregresso con semplici accorgimenti procedurali che stabiliscano a priori ruoli, competenze, campi d’azione e responsabilità. Detta all’opposto, come può un Ente scientifico, quindi oggettivo, non essere recepito in automatico, d’autorità, quando peraltro il suo parere è inerente questioni di sicurezza? Questo è il buco derivato dall’assenza di “regole di base” la cui mancanza impedisce di stabilire le redistribuzioni di ruoli e competenze tra Enti Scientifici/autorizzativi. Solo stabilendo i confini delle dipendenze e delle autonomie è possibile responsabilizzare l’Ente che, in materia di sicurezza, non deve emettere pareri ma direttive, per far si che possa esercitare la propria competenza in modo incontrovertibile e, in questo caso sì, in piena scienza e coscienza. Solo così non si arriva a costruire quell’albergo, e solo così è possibile evitare che avvenga il declassamento del rischio sismico da zona 1 a 2 avvenuto a L’Aquila. Solo così è possibile riuscire ad individuare le responsabilità che, in “assenza di regole di base” che permettano di controllare i processi operativi sin dall’inizio, non possono essere evidentemente di nessuno, se non di chi rappresenta il punto politicamente più debole. Non si sta parlando di “poesia”, si sta parlando di aspetti concreti, misurabili, dimensionabili, prossimi all’oggettività assoluta. E la “mappa somma di tutti i rischi” è la cartina di tornasole di tutto questo, non esistendo appunto un livello superiore che possa sovrintendere per mettere a sistema il tutto.

Nello specifico rimarrebbe da indagare “l’ampliamento del rifugio e il cambio di destinazione d’uso” le cui liceità sarebbero connesse alle datazioni delle mappe PAI. Ma in assenza delle carte relative ai permessi autorizzativi rilasciati dall’Ufficio Tecnico non è possibile emettere un parere diretto. Quello che sappiamo è che le carte PAI qui riportate sono la diretta derivazione delle carte del 1991[1].

Ora speriamo di non doverci chiedere mai come sia stato possibile costruire dighe su faglie attive, di cui una si sta riattivando in questi giorni.

In tutto questo meccanismo di deresponsabilizzazione e non esposizione diretta da parte degli Enti autorizzativi, si inserisce il ruolo del Tecnico (geometra, architetto, ingegnere) che presenta le domande soggette ad autorizzazione (Permessi a Costruire, Scia, ecc…) e deve controllare tutto il pregresso del contesto urbanistico/architettonico/paesaggistico/geomorfologico/sismico/ecc… in cui va ad operare e deve pertanto garantire che non ci siano state inadempienze. In sostanza, nel ricoprire il ruolo di Pubblico Ufficiale, il Tecnico firmatario è l’unico responsabile in prima persona di tutto il processo. Questo determina una ulteriore disfunzione di responsabilità che converge unicamente sulla figura del Tecnico che, per i motivi sopra esposti legati alla difficile accertabilità delle condizioni al contorno, sia in termini standard che eccezionali (sicurezza), diventa l’unico elemento di garanzia dell’intero processo. Ma è evidente come, in un sistema così progettato, dove i Vertici non sono “vertici” ma “soggetti orizzontali” incapaci per propria definizione e struttura ad assumersi responsabilità dirette, l’esposizione del Tecnico sia eccessiva in quanto questa figura dovrebbe essere solo un terminale applicativo e non uno sbrogliatore di matasse legislative e normative, almeno in materia di Sicurezza!  Il Tecnico firmando legittima uno stato di fatto dove è l’unico ad assumersi la responsabilità di mettere insieme i pezzi di un puzzle impazzito, dove i pezzi li deve cercare come fosse una “caccia al Tesoro” e dove continuamente il gestore del gioco, per sua struttura, quindi né in malafede né in buona fede, li nasconde o li rende illeggibili o inserisce pezzi di altri puzzle. L’immagine è forte e risulta incredibile a chi non è del settore. L’Ordine degli Architetti, in merito al comma 6 dell’articolo 19 della legge 241/1990, ancora in vigore[2], scrive che <<asseverare la rispondenza a tutte le norme del progetto o dell’intervento edilizio, costituisce un atto molto rischioso, quasi temerario, vista la congerie di norme di tipo nazionale, regionale e comunale che regolano il settore dell’edilizia>>. Ovvero, mancano “regole di base”.

A sostegno di quanto sin qui detto, che è solo un piccolo spicchio dell’intera torta,  i maggiori sostenitori del problema dell’assenza di “regole di base” sono i Magistrati che paradossalmente avrebbero tutto l’interesse a sguazzare nel torbido dell’humus legislativo che prolifera in modo esponenziale proprio grazie alla continua produzione di leggi “secondarie” che si espandono come spore micologiche, prendendo linfa vitale proprio dall’assenza di regole di base.

Quanto sin qui detto non è noto a chi non è interno al problema come invece lo siamo noi tecnici. All’opinione pubblica certe disfunzioni appaiono “fantascienza” e invece sono realtà e se non troviamo il modo di sensibilizzare l’opinione pubblica su queste assenze, che sono alla base della maggior parte dei malfunzionamenti del nostro Paese (visto che gran parte della nostra “non-economia” ruota attorno all’edilizia e alle infrastrutture), difficilmente qualcosa cambierà. Dobbiamo uscire dai tecnicismi stretti e cominciare a parlare delle questioni di base che sono comprensibili a tutti. Consapevoli che tutto il sistema mediatico vive di equivoci per ampliare il dibattito e ottenere consenso. Si dovrà considerare quindi che il sistema mediatico farà del tutto per ostacolare la redazione delle “regole di base” paventando fantasmi “autoritaristici e giustizialistici” che non hanno nulla a che fare con l’assenza delle regole di base che hanno il solo effetto di rendere un Paese senza spina dorsale sociale, Paese che fin ora si è retto solo sulla spina dorsale individuale, che però ora comincia ad essere storta in troppi casi a causa di posture sbagliate ormai troppo diffuse.

La “furbata” è tutta nel creare organi competenti tutti deresponsabilizzati. Il governante tecnicamente incompetente mette i suoi vassalli deresponsabilizzati in cambio dell’asservimento ai propri interessi, e i contadini “asseverano la fertilità del terreno”. Meno metaforicamente posso dire che non mi sento affatto tutelato nell’esercizio delle mie funzioni. Condizionato da talmente tanta “aleatorietà”, mi sento un capro espiatorio funzionale.

Marco Valerio Masci

[1] <<La mappa regionale, del Piano stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico del 2007 che conferma quella del 1991, è la 350 Ovest rintracciabile sul sito della Regione.>> http://www.ansa.it/abruzzo/notizie/2017/01/21/rigopiano-11-sopravvissuti-5-vittime_1d4af29e-1529-4fd5-a3b3-c6bec254a51c.html).

[2] <<Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni.>> http://ordine.architettiroma.it/professione/i-decreti-modifica-scia/

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