Diamanda Galás

Diamanda Galás

<<(…) cantava a tutte le ore, e qualche volta anche dopo l’avemaria, certe nenie strane e rivoltanti che nessun’altra conosceva e non si sa dove le avesse imparate. Hm hm, seguitavano a dire le vecchie senza spiegarsi e le giovani maritate finirono col concluderne che qualcosa di misterioso doveva esserci sotto; insomma per dirla tonda, la fanciulla era caduta in sospetto di stregoneria. A questa fama andavano aggiungendo credito, si capisce, le nuove generazioni, giorno per giorno; hu hu la fattucchiera! cominciava già a dire qualche bambinetta delle ultime arrivate, vedendola passare cogli occhi bassi. Le poche che non vollero entrare in quest’ordine d’idee sostenevano invece che fosse straordinariamente superba, che sdegnasse tutti i giovani della sua condizione e sognasse chissà che. Sicuro, un fior di ragazza come lei, che avrebbe fatto girar la testa a chiunque, andarsene sempre così cogli occhi bassi? Senza dubbio a chi s’attardasse verso sera largo Carbonaro faceva un certo senso quel suo canto; che a volte stagnava in una nenia monotona, a volte si levava in un vigore acerbo e selvaggio, quasi rauco, a volte ancora ansava affrettato, quasi il rantolo sibilante di chi susciti un sortilegio. Spesso la fanciulla cantava a bocca chiusa modulando arie remote, il suo mugolo dolce prendeva a momenti timbri d’una ferocia perduta; era allora come un’anima che si torca fra gli spasimi, o frema e infurii nel suo esilio e batta alle pareti della sua prigione e poi soverchiata s’abbandoni, come un corpo che si dibatta nell’agonia volendo francarsi della sua anima, come la violenza d’una belva cattiva. A momenti rinvigoriva, il mugolo, in un modo incalzante di spocchia beffarda, quasi il soffio d’un sinistro trionfo. Raramente d’una sonorità di giunco, esso era il più sovente in apparenza smorzato, in realtà dotato d’una penetrazione implacabile e profonda, d’una continuità dilagante; simile alle spade degli antichi cavalieri, trapassava come senza ferire e dalla sorda piaga si levava poi segretamente, s’espandeva lievitava scoppiava il dolore; o una macabra gioia, gonfia e torta, quasi fiorita di verruche, spaventosa a colui medesimo che n’era vittima. Terrore e desiderio malinconia e allegrezza s’avvicendavano, stringendolo, nell’animo del ritardatario ; una mostruosa flora, rossastra sanguigna pareva a lui gli si gonfiasse dentro con muto lividore. Suonavano i rintocchi dell’avemaria, il ritardatario si riscoteva e si chiedeva con rabbioso sgomento: ma che diamine faccio qui incantato? Quella dev’essere una strega di certo! – e s’affrettava a rincasare. Qualche volta, al tramonto, la fanciulla girava le rovine del castello, che di là guardano la valle, e rimaneva sul ciglio dello scoscendimento, seduta su un architrave crollato, sola soletta a fantasticare, (…)>>

Estratto completo da “La pietra lunare”, pag. 38-39, Tommaso Landolfi, ed. Piccola Biblioteca Adelphi

 

Note: immagine da http://diamandagalas.com/

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