Una storia di Nonno Giovanni

Una storia di Nonno Giovanni

La storia di Nonno Giovanni non mi è stata raccontata da lui, è una di quelle storie di famiglia che nessuno sa chi l’abbia raccontata per primo, e nessuno sa chi l’abbia sentita da lui. E’ una di quelle storie che inizia con “Si dice che…”.

Nonno parlava solo quando si arrabbiava, altrimenti annuiva o ascoltava. Ricordo a 10 anni lunghe passeggiate silenziose alle 7 di mattina per andare a prendere la formaggetta appena cagliata prima che la salassero e durante il ritorno soffermarsi a cogliere la frutta <<perché quella oltre il recinto è di tutti>> per poi insegnarci come realizzare i pifferi con le canne, tutto “senza parole”. Ricordo a 16 anni una passeggiata a piazza dei Mirti in cui passando davanti alla sede della Democrazia Cristiana parlò per dirmi <<bello di Nonno, tu pensa a studiare e poi ci pensa Nonno a sistemarti>>. E così, di silenzio in silenzio, si arriva a questa storia che si racconta in poche parole.

Nonno, capomastro edile, conosceva tutto dell’edilizia operativa. Diresse la costruzione della Torre di Gaeta consigliando l’Ingegnere progettista su una modifica da apportare alle fondazioni, professionalmente sapeva il fatto suo, bastava vederlo lavorare per capirlo.

L’Italia entra in guerra il 10 Giugno del 1940. Nel 1938 si effettuano i censimenti di “razza ebraica o parzialmente ebraica”. La polizia repubblicana italiana il 30 novembre 1943 inizia gli arresti segnalando ai tedeschi le deportazioni per il campo di concentramento di Fossoli e per quello di Auschwitz. Nonno aveva circa 44 anni, viveva in Abruzzo, a Castiglione a Casauria, con Nonna Francesca (che aveva conosciuto per la ricostruzione del terremoto del 1933) e tre figli, quando, per errore, o molto più tipicamente per le “delazioni remunerate”, fu arrestato dalla polizia repubblicana italiana e segnalato ai tedeschi che lo deportarono ad Auschwitz. Grazie alla sua professionalità edile e al non essere ebreo fu destinato a lavori di manutenzione del campo, tra cui la spalatura delle fogne. Questo lo rese utile e sufficientemente indipendente tanto da riuscire a fuggire. Riuscì a tornare al paese dove però fu subito individuato, segnalato e riportato nuovamente ad Auschwitz. Fortunatamente, dopo pochi giorni dal suo arrivo finì la guerra e fu liberato, e poté nuovamente fare ritorno al paese. Dopo qualche anno andò a vivere a Roma con tutta la famiglia trovando alloggio in uno scantinato che si allagava del surplus dell’acqua delle fogne (posseggo ancora la cassapanca con le gambe spessorate di 10 cm) e il primo lavoro che trovò fu proprio quello di pulire le fogne. In pochi anni lui e mia Nonna costruiranno la loro casa a Centocelle utilizzando come travi per il solaio le rotaie del treno perché <<allora si faceva così>>.

Marco Valerio Masci

Immagine di testa: “foglie” ‎(Marco Valerio Masci, 9 ‎Dicembre ‎2014) ‎3648×2736 pixel, fotocamera Casio EX-ZR100.

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